Flora ha origine dall’incontro tra due regni: uno è onirico, modellato dalle lente metamorfosi e dagli equilibri silenziosi di due acrobati, creature di un mondo perfetto, di “un pianeta che verrà”; l’altro è il regno delle apparenze, della percezione instabile. Qui vive Ermanno, custode e sacerdote di un tempio antico, adirato con se stesso e con gli dei perché ancorato a una visione parziale della realtà. In Flora questi due universi si sovrappongono, si scontrano, si contaminano, si accordano.
Da un lato ci sono due circensi che utilizzano un linguaggio non-verbale, risultato di una contaminazione delle tecniche acrobatiche del nouveau cirque con quelle della ricerca coreografica propria della danza contemporanea, dall’altro un’attrice trasformista che oltre al corpo e alla musica, utilizza la parola per accompagnare lo spettatore nella storia.